Quando il DNA ordina al bar

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La genetica gioca il suo ruolo anche al bar, modificando le reazioni di ognuno alla più amata delle bevande: il caffè. Un nuovo studio ha evidenziato sei nuovi geni nel DNA umano, che spiegano i più classici “sintomi” da caffeina.

Espresso, moka, nero, macchiato, marocchino, con zucchero, amaro, schiumato, cappuccino, americano, shakerato, i modi di gustare il caffè sono tanti quanti i chicchi prodotti ed esportati ogni anno. E l’Italia non è l’unico paese che adora questa bevanda, negli Stati Uniti si spendono 40 miliardi di dollari all’anno in caffè e più del 50% degli americani consuma una media di tre tazze di caffè al giorno. Questo festival della caffeina ha però i suoi riscontri a livello anatomico e addirittura molecolare. Uno studio recente ha identificato sei varianti genetiche a spiegare i diversi effetti che la caffeina ha sugli individui. Curiosa di sapere come mai alcune persone possano trangugiare litri di caffè conservando parvenze umane, mentre altre diventino dei piccoli diavoli della Tasmania alla prima tazzina, Marilyn Cornelis, della prestigiosa Harvard University, ha condotto uno studio su oltre 120 mila individui con discendenza europea o afroamericana. I risultati di questa ricerca hanno portato alla scoperta di sei nuovi geni su otto totali, connessi al consumo di caffè. Quattro di questi sono coinvolti nel metabolismo della caffeina, due nel metabolismo di grassi e zuccheri e due sarebbero geni psicoattivi, quindi coinvolti nell’effetto della caffeina sul cervello. Benefici ed effetti negativi per la salute di caffè e caffeina sono da lungo oggetto di dibattito ma questo studio suggerisce che un certo sottogruppo di persone ricaverà più facilmente beneficio dal consumo di caffè, mentre altri ne saranno più negativamente affetti. Secondo il corredo genetico, alcune persone sono quindi più inclini a beneficiare degli effetti diuretici e lassativi di questa bevanda mentre altri saranno più influenzati dalle sue proprietà eccitanti. Tuttavia il DNA influenza solo per 1.3% le abitudini legate al consumo di caffè mentre buona parte dell’amore verso il nero liquido deriva dalla cultura gastronomica locale e dal gusto personale. Il team di ricercatori spera ora di identificare ulteriori geni coinvolti nel metabolismo della caffeina e degli antiossidanti responsabili dell’inconfondibile sapore vagamente amarognolo di questa bevanda. Queste ricerche permetteranno un giorno di sviluppare un caffè che risponda ai gusti individuali e da cui si possano ricavare i migliori benefici senza i fastidiosi effetti collaterali. Rimane da chiarire come scoprire quali geni possediamo per sfruttare al meglio il corredo genetico anche al mattino al bar.

Valeria Senigaglia

 

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